Cominciamo con lo sfatare il binomio burlesque-spogliarello.
Certo, non ne usciamo molto vestite, ma la differenza non sta nell’obiettivo da raggiungere, bensì nelle molteplici diversità di percorso.
Dopo la mia prima parvenza di esibizione su un palco, mi sono sentita dire dalla mia amica che la figlia, durante lo spettacolo, dietro la mano parata sugli occhi, le ha chiesto “Mamma, ma perché lo fa???”.
Credo sia stata la prima volta in cui me solo sono chiesta consapevolmente.
Nessuna necessità di sedurre il mio uomo.
Nessuna ambizione di mostrare il mio corpo (oddioooo!!).
Nessuna tendenza all’esibizionismo (NON scherziamo, ho nel curriculum un’ adolescenza passata a nascondere ogni centimetro di pelle di troppo).
E lo sguardo dei miei genitori? Piuttosto… quale sguardo? Non sapevano più da che parte guardare all’uscita del teatro e, per tutti quei lunghi minuti di esibizione, SO che hanno continuato a chiedere a mio fratello (povero!) seduto a fianco, se quella fossi proprio io.
E le reazioni strettamente domestiche? Quelle delle quattro mura di casa?
Marito felice, consapevole, partecipe, coinvolto, ma desideroso di maggiori performance private.
Per le figlie femmine (già avviate ad una dilettantistica carriera danzante) tutto naturale, mamma si spoglia=mamma si diverte=mamma è libera di scegliere (grazie papà che inculchi alle nostre bimbe la libertà e l’autonomia).
Per il figlio maschio, a cui stiamo cercando di sradicare una certa propensione verso il “maschio Alpha” (vorremmo tanto sapere quale antenato lo abbia amabilmente inserito nel suo DNA), sono improponibile, e “Mamma… faccio fatica a guardarti”.
Adesso è a mia volta, come direbbe qualcuno.
L’incipit è stata la curiosità. Superato l’inevitabile ma prevedibile imbarazzo del trovarsi insieme a fare non si sa bene cosa, ho scoperto un essere etereo (per colore e consistenza) dotato di una vivace intelligenza fuori dal comune, che ha iniziato ad apostrofarci con vari aggettivi ricalcanti le nostre caratteristiche più evidenti: Lisa, la nostra insegnante di burlesque.
Chi lo avrebbe detto che sarebbe stata proprio lei, la mia insegnante, la mia iniziatrice, a trovare il mio nome d’arte?
Così è iniziato il tunnel. La dipendenza.
Quel vedersi donne tra le donne. Senza competizione, senza giudizi, senza critiche. Le donne burlesque sono complici. Condividono la stessa voglia di mostrarsi a tutti nella loro forza e caparbietà e la stessa paura di non essere all’altezza. Vogliono amarsi di più ma non si sentono mai giuste.
Ma torniamo al quesito iniziale: perché lo faccio? Ma soprattutto, perché continuo a farlo?
Per imparare a piacermi innanzitutto, più che a piacere. Per la mia autostima, ultimamente degenerata tra chili in esubero e mutamenti professionali non del tutto soddisfacenti. Per imparare a guardarmi con occhi meno geometrici, che allo specchio vedono sempre la mia figura incastrata in un triangolo isoscele a base larga. Per conoscermi meglio, per scoprire quella parte di me abilissima a nascondersi ma giudice implacabile di ogni mia azione e pensiero.
E poi per lasciarmi andare, per uscire dalla gabbia invisibile ma inespugnabile che mi sono costruita. Per difesa? Per paura? Per insicurezza?
E’ quello che voglio scoprire, ma la strada è lunga, e io ho appena iniziato a camminare.
Articolo scritto da La Rottermeier