Sono appena tornata da un viaggio meraviglioso, se pur breve, in Francia, in Camargue.
Amo viaggiare alla scoperta di luoghi, culture e natura, ma amo altrettanto il vino, così non riparto mai senza prima aver esplorato l’identità vinicola della zona che visito.
Così, dopo aver ammirato scenari mozzafiato spazzati dal vigoroso Mistral, saline che ricordano paesaggi lunari, lagune popolate da eleganti fenicotteri rosa e cavalli bianchi, resti architettonici del passaggio degli antichi Romani, ho convinto i miei compagni di viaggio a fare delle rigeneranti passeggiate tra i vigneti di Châteauneuf-du-Pape e delle degustazioni dell’omonimo vino, uno dei pochi al mondo che vanta una storia secolare.
La nascita di questo celebre vino è legata, infatti, alla storia del papato che, poco dopo il 1300, trasferì la sua sede da Roma ad Avignone (città poco distante) e circondò la residenza estiva, proprio a Châteauneuf-du-Pape, di vigneti, che danno vita a questo nettare divino.
Arrivati al Domaine, uno dei più rinomati della zona, mi sono imbattuta nel più classico dei cliché sessisti, con il quale, purtroppo, mi capita di confrontarmi spesso, secondo cui “capire di vino” è appannaggio degli uomini e le donne sommelier non esistono.
Anche questa volta la degustazione è iniziata in modo esclusivo tra gli uomini: il responsabile non fa una piega quando la mia amica declina l’invito all’assaggio, ma quasi si sorprende che io invece mi unisca ai due uomini, mio marito e un nostro amico. Serve il primo vino e ne illustra le caratteristiche, concentrandosi esclusivamente su di loro, come se io fossi invisibile.
La mia amica ride, mentre si gusta la scena e vede i miei occhi fiammeggiare, e per distrarmi dal desiderio di incenerire immediatamente il francesino, mi chiede la traduzione simultanea della spiegazione e mi tempesta di domande.
Mia figlia Maddalena, che ha già assistito a questa scena molte volte, e conosce perfettamente commenti e retroscena, mi incoraggia: “Mamma, dillo tu se è buono questo vino. A te piace?”.
La degustazione prosegue con altri vini, finché il francesino si rende conto che, contemporaneamente alla sua spiegazione, io fornisco ai miei compagni di viaggio ulteriori dettagli e aneddoti, e inizia a guardarmi con sospetto.
Così mio marito lo informa che sono una sommelier.
La sua reazione è degna di un devoto che ha visto la Madonna e ripete più volte: “Really? Really?”, sgranando gli occhi.
Per cancellare ogni dubbio, estraggo con orgoglio dalla mia borsa la tessera di sommelier AIS (Associazione Italiana Sommelier) che lui prende in mano come una reliquia e, finalmente, scocca la scintilla.
Sembra quasi commosso, ci serve gli altri vini, finalmente degnandomi della sua attenzione e, probabilmente per scusarsi per avermi ignorato nella prima parte della degustazione, ci regala l’assaggio di un vino speciale, molto raro, frutto delle più antiche vigne del Domaine, normalmente di difficile reperimento per l’acquisto.
Per fortuna i vini degustati sono spettacolari: equilibrati e di gran carattere, eleganti, morbidi e avvolgenti, e mi permettono di rilassarmi e dimenticare le mie iniziali intenzioni bellicose.
Dopo aver scelto le bottiglie da acquistare, ho sfoderato il mio miglior sorriso e ho informato il francesino che a casa mia, io bevo e mio marito paga.
Di vigna in vigna e di bicchiere in bicchiere, continuerò la mia battaglia per sfatare il cliché: anche senza essere sommelier, una donna può apprezzare il vino tanto quanto un uomo; l’apprezzamento del vino è un fatto di gusto individuale, non certo di genere.
Articolo scritto da Coco Champagne