“Ma avrà il reggicalze o dei banalissimi collant?”
E’ questa la domanda che mi balena nella mente tutte le volte che vedo una donna con la gonna, probabilmente per via della mia passione: il burlesque.
Cos’è il burlesque?
Wikipedia dice: “Il burlesque è un genere di spettacolo satirico che a causa delle molteplici trasformazioni è diventato sempre più simile al varietà”.
Alcune femministe (con i baffi) dicono che è l’oggettificazione della donna.
Io invece che lo pratico da qualche anno vi dico che per me: “il burlesque è uno strumento e non un fine: lavoriamo non solo per andare sul palco, ma anche per essere libere, felici, consapevoli e divertite” (cit. Le Fanfarlo)
Come vi dicevo, è qualche anno che faccio il corso, ma ricordo con molta nitidezza la prima volta che ho messo piede nell’aula in cui l’insegnante, Lisa dalla Via, avrebbe fatto la lezione di prova.
Sono arrivata a lezione con delle amiche, convinta di trovarci quattro gatti. Invece eravamo in tantissime, di età e stili completamente diversi.
Ammetto che questa cosa mi aveva alquanto stupita. Non pensavo minimamente che ci fosse così tanta gente pronta a mettersi in gioco con quella inusuale arte.
Ne sapevo poco, ma sapevo con certezza che nel burlesque c’era uno spogliarello da affrontare. E quindi? Tutte pronte a denudarsi davanti a sconosciute e sconosciuti?
La lezione è iniziata e io ho accantonato le mie considerazioni.
Non nego che ci sono stati attimi di terrore, ma superato lo scoglio della camminata (si, la prima richiesta dell’insegnante è stata di mostrarle il nostro modo di camminare. E chi ci aveva mai fatto caso?!), la lezione mi ha entusiasmata a tal punto che mi sono iscritta al corso.
Dopo qualche mese mi sono accorta che mi appagava molto fare quelle lezioni, perché non erano solo nozioni tecniche quelle che apprendevo, ma anche coraggio ed autostima.
Coraggio che ho dovuto tirare fuori a fine anno per fare il saggio della scuola.
Il giorno del saggio è parso arrivare in un baleno. Eravamo tutte agitatissime.
Siamo arrivate nel teatro 4 ore prima rispetto all’inizio dello spettacolo.
Ansia e angoscia erano palesi sulle nostre facce. Non so quante volte ci siamo ricontrollate a vicenda la riga delle calze (doveva essere perfettamente perpendicolare al pavimento). Volevamo essere impeccabili.
Abbiamo iniziato a ripassare furiosamente la coreografia, ogni volta facendo più confusione.
Una domanda ci balenava nella testa: perché tutta quella gente era venuta a vederci?
Per vedere se davvero ci saremmo spogliate oppure per vedere ciò che stavamo per raccontare?
Lisa con molta pazienza ci ha truccate e tranquillizzate tutte prima di augurarci “in bocca al lupo” e spedirci sul palco.
Finalmente toccava a noi: le pin up erano in scena. Era il momento di mostrare la nostra grinta.
Logicamente l’imprevisto ha regnato sovrano: a partire dalla canzone sbagliata fino ad arrivare al mio sottogonna che è venuto giù con il vestito lasciandomi chiappe all’aria per più tempo del previsto.
Nonostante questi “tecnicismi”, il saggio è andato molto bene, regalando emozioni e soddisfazioni a tutte. Non credevamo di esserci riuscite.
Mi sentivo un sorriso a trentadue denti e lo vedevo sulla faccia delle mie compagne di corso.
Oltre alla soddisfazione di avercela fatta ad allontanare i pregiudizi della gente su ciò che facevo, a fine saggio sentivo anche un forte senso di gratitudine.
Gratitudine verso Lisa, perché credeva in noi, ma soprattutto verso Gabriele (il mio compagno di vita) che non ha smesso mai un secondo di supportarmi. Anche nei momenti in cui ero più che insopportabile.
Dopo il primo saggio ce n’è stato anche un secondo, con molte meno ansie e meno preoccupazioni.
Il giorno del secondo saggio siamo arrivate al teatro solo un’oretta prima della nostra esibizione, prendendoci il lusso di fare anche un aperitivo.
Solo le calze mi hanno dato filo da torcere, rompendosi un attimo prima di andare sul palco. Sapendo di non poterci fare nulla, a testa alta e con fierezza sono andata in scena e ho fatto il mio show, archiviando il secondo saggio nel migliore dei modi.
Dalla fine del secondo saggio sono ancora più consapevole che il burlesque è per me davvero uno strumento di empowerment femminile, come diciamo nel nostro decalogo.
Ho iniziato a fare show (identificandomi con un nome d’arte), per portare in giro il nostro credo: “Il Burlesque non ha canoni estetici, né limiti di età, forme, misure, cultura. Crediamo nella bellezza femminile che è multiforme e variegata, condanniamo il body shaming in ogni sua forma in quanto nemico giurato della vera bellezza: la nostra, quella di milioni di donne diverse, ognuna con il suo singolare splendore” (leggi qui il nostro decalogo).
Quindi, a tutti quelli che mi dicono che in fondo ciò che faccio è solo spogliarmi, vorrei dire che non hanno proprio capito un piffero.