La notte del 24 Febbraio è andata in onda la cerimonia degli Oscar:
evento di fama mondiale in cui la celebrazione della settima arte raggiunge il punto di massima espressione, e la macchina sforna-sogni del cinema si presta al giudizio dell’Academy of Motion Picture Arts and Sciences.
Fra le atmosfere lussuose e raffinate del Dolby theatre di Hollywood, vengono premiate le opere che si sono distinte nel corso dell’anno precedente, ognuna impilata nella sua categoria, nell’attesa di ricevere la prestigiosa statuetta.
Ho sempre amato quest’evento, da studiosa e divoratrice di cinema per me la cerimonia degli Oscar rappresenta un momento catartico, di massimo raccoglimento, in cui proietto ogni forma di ossessione coltivata su un film o un personaggio.
Ma quest’anno è stato diverso. Guardavo le donne: poche nella categoria come miglior film e del tutto assenti fra i registi.
Così mi sono informata, e ho potuto constatare come questa macchina sforna-sogni (soprattutto i miei) stia fallendo nel rappresentare i ruoli femminili sullo schermo.
Conoscete il Bedchel Test?
E’ un test, dal nome della fumettista Alison Bedchel, che cerca di determinare la rappresentazione femminile secondo dei criteri estremamente semplici: nel film devono esserci almeno due personaggi femminili che hanno una conversazione tra loro su qualcosa di diverso da un uomo.
Non sono state poche le critiche al metodo, fra cui la poca specificità del tipo di discorso, la qualità, la quantità di parole.
Vi faccio un esempio: Il caso Spotlight vincitore della categoria Miglior film nel 2016 ha passato il test perché in una scena, alla giornalista Sacha Pfieffer, viene chiesto un bicchiere d’acqua da sua nonna. Se pensate quest’esempio sia controproducente verso l’intento del Bedchel test, avete ragione.
Sì, dall’esempio ci rendiamo conto che questo metodo è di una semplicità estrema e non è mai stato percepito come un metro di valutazione serio, ma può essere il lancio per comprendere quello a cui cerca di puntare: secondo una ricerca condotta dalla BBC 100 Women, se guardiamo tutta la cronistoria degli Oscar, meno della metà (49%) degli 89 film nominati nella categoria Miglior Film hanno superato il test. E parliamo di contenuti più narrativi.
Se guardiamo alla categoria della Miglior Regia, solo Kathryn Bigelow, in tutta la storia del cinema, prese nel 2009 la statuetta per The Hurt Locker (il film non passa il Bedchel test). Questi sono dati che non indicano la percezione dello spettatore verso quei ruoli, ma sollevano un problema di genere che ha radici secolari.
Alla 91esima edizione degli Academy Awards non è andata meglio: secondo la Ceratai, una startup Svedese che conduce analisi sulla diversità e uguaglianza nei media, fra gli 8 film analizzati candidati al Miglior film, il tempo di conversazione femminile è del 29%. La start-up ha inoltre analizzato i film nominati in questa categoria tra il 1977 e il 2006: su 6.833 personaggi parlanti, solo 1.865 erano donne.
Di dati ce ne sono a non finire, ma questo non è un articolo di statistica (forse).
Il problema va oltre gli Oscar, Hollywood e i film, e riguarda il modo in cui percepiamo l’uomo e la donna anche nella vita quotidiana.
Gli uomini nei film parlano di più e questo potrebbe influire su ciò che vale la pena ascoltare e ciò che non la vale.
Per cambiare questo sistema il primo passo riguarda la consapevolezza, che diventa catalizzatore di riduzione delle discriminazioni di genere.
Io sono follemente innamorata del Cinema e delle sue celebrazioni, sono i miei studi, il mio mondo, il mio futuro (spero), ma abbiamo bisogno di avviarci verso il cambiamento, verso un’era di rappresentazione femminile meno stereotipata e più multiforme.
Tentare di mettere in scena ruoli che non siano delle eccezioni in universi di supereroi e figure politiche maschili, ma che rappresentino la norma.
Personaggi femminili non necessariamente separati e distinti dalle figure maschili, ma che abbiano un punto di vista (perché noi donne ce l’abbiamo!!) solido, presente e determinante.
Pic by: NY Times