La mia mattinata è molto semplice e abitudinaria.
Il caffè è il centro di tutto e, oltre ad essere la mia colazione, per me è anche un momento social.
Instagram e Facebook accompagnano l’attesa della mia dose mattutina di caffeina e, mentre sorseggio innumerevoli tazze di caffè, sbircio post e foto.
Qualche giorno fa, tuttavia, la mattina si è rivelata un po’ più amara delle altre. Una fotografia condivisa da Elisa d’Ospina ha catturato la mia attenzione: la foto ritraeva una ragazza in costume con scritto ”Per la Milano fashion Week l’agenzia mi ha chiesto di perdere un’altra taglia. Quindi Fan**lo”.
Ho sgranato gli occhi perché non volevo crederci e ho esordito con “Che cosa?!”.
Nel suo post Elisa spiegava la situazione: vi riporto direttamente le parole da lei scritte perché la dote della sintesi non mi appartiene: “Ilaria è troppo grassa per sfilare. Per la settimana della moda milanese le han chiesto di perdere una taglia. È alta 181 cm, taglia 42 e come vedete è già sottopeso. Care agenzie sappiate che vi stiamo scatenando addosso l’inferno.”
Premetto che sono solo un puntino in questo pianeta abitato da più di 7 miliardi di persone, ma la ragazza in questione avrà i miei stessi anni, se non di meno, come me ha l’energia che solo a quest’età si possiede (non me ne vogliano le persone con qualche anno in più) e, se penso alla delusione e alla rabbia che lei ha dovuto provare, mi amareggio.
Mi sembra alquanto stupido limitare tutto ad un numero scritto sul cartellino di un vestito.
Come abbiamo scritto noi Fanfarlo in un post su Facebook: “Ci dicono che esiste solo la taglia 42, ma noi siamo convinte che le forme dei nostri corpi raccontino una storia: la nostra. Vogliono dare una misura persino ai nostri sogni ma noi sappiamo che le nostre anime non hanno perimetro”.
Io voglio raccontarmi a prescindere dalla mia taglia, a prescindere dal mio peso.
Il mio corpo è il contenitore della me più vera, a volte ingabbiata e incastrata in un canone di bellezza troppo rigido che non le appartiene, ma è la parte di me che voglio arrivi agli altri.
Non voglio che le persone si limitino a vedermi come un corpo imperfetto: forse è così che lo vedono in molti (bassa, tonda, con delle tette poco tette e con un culo che forse è un po’ troppo culo) ma il mio corpo per troppo tempo è stato un limite. E sapete perché?
Perché io stessa aspiravo a una forma fisica che potesse rispettare tutti quei canoni di bellezza tanto acclamati. Quando uscivo dalla doccia davo le spalle allo specchio perché odiavo quello che vedevo, era una gabbia opprimente, era l’opposto di ciò che volevo essere.
Con il passare degli anni ho accettato sempre di più il mio corpo, e il trucco è proprio questo.
L’accettazione è la prima fase del cambiamento vero e proprio, un cambiamento interiore che non segue regole, che non ha limiti di età e tempo, il cui fine unico è il benessere fisico e mentale.
Forse vi starete chiedendo il perché di tutta questa pappardella (ve l’ho detto che sono logorroica?).
La risposta è semplice: leggendo di questa vicenda mi sono ricordata di alcuni momenti per me molto difficili e di come troppe volte mi sono sentita a disagio per colpa del mio corpo, di come ho cercato di annullare la me più vera per apparire perfetta.
Dopo molti sforzi alla fine ho capito che sono i miei occhi sorridenti che conquistano e non la mia taglia, che alla fine è solo un banale, insipido numero.
Articolo scritto da Noam Sparkly