L’Approcciatore Molesto è un coetaneo che sale sul treno peggiore di tutti, ovvero l’ultimo regionale della sera, quello più sporco e letale, coi divanetti unti e così luridi che durante il viaggio puoi intrattenerti facendo il test delle macchie di Rorschach.
L’Approcciatore Molesto mi si siede proprio davanti, nonostante il treno sia completamente vuoto, comincia a spippolare sullo smartphone ultimo modello e immediatamente mi accoltella con un agghiacciante luogo comune: “la tecnologia divide le persone”.
Io, che sto leggendo un libro, per giunta di carta, e sono abbastanza avulsa alla tecnologia, annuisco con un condiscendente sorriso. Prendo lo stesso treno tutti i giovedì e, per natura, cerco di evitare i contatti umani non indispensabili quindi, tendenzialmente, mi isolo nella narrativa sbracata sul sedile, concedendomi un’ora e mezza di silenzioso, immobile oblio letterario.
Adoro queste mezzesere ferroviarie silenziose e sì, mi urta parecchio dover per forza parlare con qualcuno ma, da anni, sto lavorando per evolvermi da “orso antisociale” a “persona integrata nel mondo”.
Quindi tendo i muscoli pellicciai e borbotto qualche parola di circostanza, con lo scopo di indurre il silenzio nel mio interlocutore, fallendo miseramente.
L’Approcciatore Molesto non vede l’ora di dar fiato alla propria trachea e attaccare un bottone colossale, peraltro convinto –a torto- di farmi un favore. Mi racconta che lui fa l’attore e, “non so se lo sai”, è un artista e lavora coi sentimenti delle persone e l’anno prossimo dovrebbe debuttare al Teatro Donizetti, “non so se sai dove si trova”.
Per inciso, io sono nata a Bergamo e al Donizetti ci sono andata svariate volte, tre delle quali per ritirare dei premi di poesia ma oh, non so se sono un’artista e non posso dire di “lavorare” coi sentimenti delle persone. Fino ad ora infatti, nonostante i poeti siano definiti “gli operai della parola”, sono stata pagata unicamente con eleganti targhe e no, non posso usarle per pagare il fornaio. Quindi pazienza.
L’Approcciatore Molesto inizia un monologo nazionalpopolare sulla dignità dell’uomo e sul valore insindacabile della vita e, mentre parla, si sbircia vanesio nel finestrino e si aggiusta i capelli e cita Einstein e “non so se lo sai”, la massima sulla stupidità umana e poi confonde l’atomica di Hiroshima con la Guerra Fredda, in un vortice di stupidità convulsa e crescente.
Sentire questo imbecille sciorinare litri di cazzate, pieno di onanistico compiacimento, completamente ignaro di essere un perfetto coglione assolutamente incapace di comprendere la persona seduta davanti a lui, in realtà mi allibisce al punto da lasciarmi senza parole. Tanto a cosa servirebbe, parlare con un idiota è uno spreco di fiato e io vorrei soltanto leggere il mio libro, mentre invece questo mi crivella di ovvietà e io mi sento come un partigiano in un’imboscata.
Ad un certo punto l’Approcciatore Molesto, probabilmente per stimolare una qualsiasi reazione da parte della sottoscritta ormai in stato stuporoso, vira improvvisamente il discorso e comincia a parlare di migranti e di integrazione, utilizzando termini atroci. Mi dice che lui non è di destra né di sinistra ma è stato un anno e mezzo negli Stati Uniti e vorrebbe una pistola per difendersi perché “bisogna sempre sparare per primi”.
Caro Approcciatore Molesto, quando hai pronunciato la frase “non sono razzista, ma…”, io ho deciso che ti avrei fatto del male.
Per questa ragione, nonostante fossi perfettamente conscia di dove fossimo, quando mi hai chiesto: “La prossima fermata è Sesto san Giovanni?”, io ti ho risposto di sì, con lucida premeditazione.
E ti ho perfino salutato gioiosa dal finestrino mentre le porte si chiudevano e assistevo felice al tuo sgomento quando hai letto il cartello recitante la scritta “ARCORE”.
Perdonami, illuminante epsilon minus, ma l’ho fatto apposta, ché ero piena di astio ed insofferenza e sì, questa è l’ultima versione del mito di Narciso, coniugata e aggiornata per il nuovo millennio, dove il vanesio, anziché cadere nello stagno, si trova ad annegare in una stazioncina di provincia senza collegamenti con la metropoli, in mezzo ai diseredati e agli ultimi che tanto detesta e, invece di un fiore, è diventato un racconto che lo irride, condiviso e pubblicato il più possibile.
Mi dispiace, Approcciatore Molesto, ma noi orsi antisociali siamo delle brutte, pessime persone.
Articolo scritto da Ivy La Morgue