Nei giorni scorsi si è parlato molto del bidello assolto dall’accusa di violenza sessuale, perché una palpata che dura meno di 10 secondi non costituisce reato.
Cos’è cambiato nella mia vita per una palpata di “meno di 10 secondi”?
Come mi sono sentita dopo aver subito una palpata di “meno di 10 secondi”?
Come mi sento adesso che sono passati diversi anni?
Queste sono le 3 domande che risuonano continuamente nella mia testa.
Nella mia vita, per il tipo di studi che ho scelto e conseguentemente per il lavoro che faccio, mi sono sempre ritrovata in gruppi prevalentemente maschili.
Ciò per me non è mai stato un problema. Proprio per questo non trovavo nulla di male a fermarmi con i colleghi dopo il lavoro. Eravamo un bel gruppo e mi divertivo molto, al punto da considerarli degli amici.
Una sera eravamo a cena insieme, eravamo seduti al tavolo e stavo scherzando con uno di loro seduto di fianco a me.
Ricordo che stavo ridendo quando, dal nulla e senza alcun motivo, “per scherzo” mi ha “strizzato” una tetta.
Esatto “strizzato”. Come se fosse una pompetta da stadio. La mia reazione è stata urlare “non ti permettere mai più!”.
Gli altri colleghi, ignari, vedendomi visibilmente irritata, curiosamente mi hanno chiesto cos’era successo. La sua risposta fu una risata fragorosa. La mia, una risata finta.
Ero arrabbiata, ma principalmente imbarazzata e provavo vergogna di me stessa, e avevo un inspiegabile senso di colpa.
Il mio pensiero non è stato “ho appena subito un abuso”.
Cercavo di capire cosa avessi fatto affinché lui si sentisse autorizzato ad un gesto del genere. Non colpevolizzavo l’aguzzino, ma la vittima (me stessa).
La mia unica colpa è stata NON DENUNCIARE
Parlare… perché farlo? Si trattava era uno scherzo! Chissà se gli altri, sapendolo, avrebbero pensato proprio questo. O magari si sarebbero arrabbiati pure loro? Gli avrei rovinato la vita, o sarebbe stato qualcosa da raccontare e riderci sopra in pausa pranzo? Mi avrebbero compatito, dato della bugiarda o sostenuto?
Tutte le mie sicurezze pian piano crollavano. Ho messo in dubbio la mia capacità di giudizio nello scegliere gli amici, nel valutare le loro reazioni. Ho messo in discussione il mio comportamento. Forse avevano ragione le malelingue che, da piccola, mi accusavano di essere una gatta morta perché sempre in compagnia di ragazzi.
A distanza di anni mi rendo conto che non dovevo essere io a provare vergogna e imbarazzo, ma lui.
La mia unica colpa è stata NON DENUNCIARE.
La colpa è di noi donne. Di come ci vestiamo, di come parliamo, di come ci poniamo
Ci ho impiegato 2 anni a riacquistare la fiducia in me stessa, ad avere la forza di parlarne con qualcuno.
Ho raccontato ad amici cosa era successo, ma non ho mai detto a nessuno come mi sono sentita.
La loro reazione è stata un “mi dispiace” compassionevole per poi cambiare subito discorso.
Sono sicura che anche loro avevano bisogno di tempo per realizzare, che i loro primi pensieri, non erano poi tanto diversi dai miei di allora.
Perché la società in cui viviamo continua a sbatterci in faccia che la colpa è di noi donne. Di come ci vestiamo, di come parliamo, di come ci poniamo. La colpa primaria è l’essere donna.
Sono passati 4 anni, ed è la prima volta che parlo di come mi sono sentita.
Un tempo lunghissimo, ma che mi è servito a realizzare e a ridarmi consapevolezza.
Ci dicono di denunciare. Poi se lo fai dopo 40 giorni, “sei una bugiarda”.
E se lo fai dopo 4 anni?