Ricordo con distinzione che ogni giorno, quando fuori il sole calava, le luci si accendevano e tutto iniziava a farsi silenzioso in reparto, io avevo paura. Ero diventata una madre, e non sapevo assolutamente come gestire la cosa.
Sono stata in quell’ospedale 5 giorni dopo la nascita di mia figlia. Troppi per un parto senza complicazioni. Di base si sta 2/3 giorni, ma la bambina era troppo piccola, nonostante fossi arrivata quasi a termine. Dovevano controllare che crescesse abbastanza.
Ogni mattina, quando il pediatra passava per il resoconto, pregavo. Non so bene chi né cosa, ma pregavo. Doveva dirmi la parola magica: DIMISSIONI.
Il mio è stato un parto stupendo, sia santificato l’inventore dell’epidurale. Hanno dovuto mettermi diversi punti e ho sofferto molto nei giorni successivi. Ma nulla era paragonabile alla tristezza, la paura, l’angoscia e la fragilità che mi stringevano il cuore ogni notte.
Chiamatela depressione post partum, chiamateli ormoni, dategli il nome che volete, ma non è solo gioia quello che prova una neo mamma in quei giorni.
Non è solo gioia quello che prova una neo madre
La prima notte è stata facile. Aurora è nata alle 23:18 di sabato. La notte ero in camera e avevo talmente tanta euforia, ormoni, felicità, entusiasmo in corpo, che non sono riuscita a chiudere occhio. Prima dell’alba ero già al nido ad ammirare quel minuscolo fagotto che era uscito dalla mia pancia.
Era magrolina, 2,630 kg. Doveva solo arrivarmi il latte, così mi dicevano tutti. Iniziai ad attaccarla, ma si addormentava subito, sempre.
Eppure ogni tanto funzionava, tirava, tanto che i miei capezzoli hanno iniziato a rompersi, com’è normale che sia. Io avevo sangue e male. Lei continuava a mangiare poco, a non metter su peso. Le puericultrici provavano ad aiutarmi nel cercare di farla attaccare, ma era dura.
Fortunatamente non c’è stato accanimento. Mi hanno consigliato di tirare il latte e darlo alla bimba con il biberon: la cosa realmente importante era che lei crescesse.
Latte ne avevo, poco ma c’era, e lei mangiava.
Ma sono stati giorni lunghissimi.
E quando, al mattino, la frase era “non possiamo ancora dimetterla”, il mio cuore saltava un paio di battiti.
La bambina piangeva, io piangevo più di lei
Gli orari di visita erano, per il padre, dalle 10 alle 20. I parenti potevano venire nel pomeriggio. Quindi durante il giorno era, fortunatamente, un bel via vai.
Mia madre e mia zia si intrufolavano alle 8 del mattino a portami una brioche prima di andare al lavoro. Io attendevo quei momenti con ansia, e non solo per evitare la colazione dell’ospedale.
La sera, quando buttavano fuori dalla stanza il mio compagno, iniziava la vera lotta.
La bambina piangeva, io piangevo più di lei.
La portavo al nido per riposare, me la riportavano per la poppata prima ancora che potessi chiudere gli occhi. Oppure mi chiamavano in camera per dirmi di andare a prenderla che piangeva troppo.
Perché si è vero, il rooming in è un’esperienza meravigliosa: ti prepara già a ciò che ti aspetterà a casa. Ma in ospedale i giorni sono incredibilmente duri. Sei madre ma ancora non lo sai.
Io avevo paura, mi sentivo sola e non sapevo come gestire quelle sensazioni, quei pianti (di entrambe). Mi sentivo sbagliata e inadeguata.
Quindi si, è vero, poteva succedere anche a me.
Non siamo nate madri
Siamo mamme non super eroine. Ci proviamo, e a volte siamo capaci di cose incredibili. Ma non dateci per scontate.
Siamo umane, siamo fragili, siamo forti, siamo determinate, siamo spaventate. Ma soprattutto abbiamo bisogno di aiuto. Perché anche se siamo geneticamente predisposte a dare la vita, non siamo nate madri.
Non abbiamo un “pulsante” che si attiva quando esce quel corpicino dal nostro utero.
E’ più una manovella, tipo quelle delle auto di una volta. Dobbiamo girare e girare. E dopo un po’ siamo stanche, è normale, non è sbagliato.
Abbiamo bisogno di supporto, sostegno. E non solo dei medici o degli operatori, ma anche di chi si sveglierà con noi la notte, a casa, per cambiare i maledetti pannolini. Sin dai primi giorni e notti, il rooming in dovrebbe essere per i padri, più che per i neonati.
Non tuttə hanno il potere economico di poter avere una stanza privata in cui il padre è benvenuto in ogni istante. Un’ora al giorno, perché di questo si tratta con le nuove norme Covid, non è sufficiente. Mai.
Ma soprattutto, siamo indifese. In quei momenti post parto siamo tutte estremamente indifese. Che sia il primo o il quinto figlio, la forza di rispondere o di chiedere aiuto non sempre c’è. Molto spesso non sappiamo neanche come prenderlo in braccio.
Più sostegno psicologico e più accessibilità, di questo abbiamo bisogno.
A te che stai soffrendo oppure a te che ancora non sai cosa ti aspetta, non sei la sola. Non sei mai la sola a vivere tutto questo.
E a te, madre di Roma, è proprio vero che poteva succedere anche a me. A molte mamme come me e come te.
Non è colpa tua.