La mia clausura procede in modo (ovviamente) rigoroso, quindi, nonostante il cielo azzurro e il sole caldo, non esco di casa da domenica 8 marzo, giorno in cui è stato annunciato il lockdown.
Mi manca l’aria.
Il mio appartamento sembra alternativamente molto piccolo, quando comincio a camminare in circolo stando al telefono, o molto grande, quando devo strapparmi dal letto e arrivare faticosamente alla scrivania.
Il fatto di non avere balconi non aiuta.
All’inizio non credevo che avrei avuto grandi problemi con il lavoro, in fondo sono 4 anni che ho l’ufficio a casa. O la casa è il mio ufficio. Anyway.
Computer, connessione internet, telefono cellulare, tazza di the verde. Ready, go.
Poi i primi intoppi. I clienti che rimandano le call a data da destinarsi.
Quelli che si negano al telefono.
Che chiedono di rivedere le clausole di pagamento.
Che non rinnovano gli accordi.
Che chiudono i contratti da un giorno all’altro.
Un cliente non ha rinnovato il contratto perché “sa già che le cose andranno male tra qualche mese” e “deve prepararsi”. Al momento sta registrando +30% di ordini. Mah.
La paura sta paralizzando persone e imprese, siamo tutti in attesa che succeda qualcosa. Quasi non importa che l’evento sia positivo o negativo. Basta che tutto questo passi. Come uno tsunami. Per capire cos’è rimasto in piedi.
Come sto vivendo questo lockdown? In bilico tra l’ansia e la resilienza. Tra il divano e la scrivania. Tra un bicchiere di rosso e una tazza di the verde.
Sollecito fatture (con scarsi risultati) e cerco strade alternative. Mi adatto.
Cerco di capire se la mia attività potrà sopravvivere a tutto questo e, nel frattempo, mando curricula (non si sa mai, magari rientrare in azienda è la soluzione B). Per questo, quando sento lamentarsi qualche dipendente a casa in congedo retribuito perché “si annoia” o “vorrebbe andare in palestra”, mi viene voglia di oliare una carabina.
Oggi è la festa del papà e per me questo giorno ha sempre avuto un significato molto particolare. Un giorno per ringraziare. Di tutto quanto.
Non abbiamo potuto festeggiare insieme, ma sono riuscita a dargli il suo regalo, nonostante il lockdown.
L’avevo appeso fuori dalla casella della posta (era una sorpresa) ma ha insistito per farmi arrivare fino alla macchina, mentre tornava a casa dal lavoro.
“Volevo vederti” mi ha detto.
In due parole, tutta la preoccupazione di un papà per sua figlia. Che non gli racconta la sua ansia, ma che non riesce ad ingannarlo.
Vederlo per due minuti, sorpreso per il regalo e sollevato perché sorrido e lo prendo in giro, come sempre, è stato il mio regalo per me.
Ora vi saluto, perché il governo italiano ha generosamente concesso un’indennità alle partite IVA e devo correre ad accaparrarmeli. Sono una tantum. Anzi mensili. Anzi una tantum ripetibile. Però solo a chi arriva primo. Forse.
Bicchiere di rosso in mano e si corre.